Lettera aperta alla persona in lutto

Il difficile superamento del lutto, il vissuto del cordoglio, la vita che reagisce alla morte di una persona cara con la forza dell'amore.

Lettera aperta alla persona in lutto

Vito Ferri, psicologo, psicoterapeuta, sociologo.

Coordinatore scientifico della Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti.

Questa lettera, rivolta a chi ha perso una persona cara, ha una storia lunga poco più di vent’anni. Nasceva a fine anni 90 come sussidio di una lezione sul cordoglio e il lutto per la formazione di base di volontari domiciliari dell’Associazione “Progetto città della Vita” di Roma.

Nella forma di lettera era sembrato più accessibile parlare del vissuto del cordoglio e della condizione del lutto che non con un saggio breve teorico.
Negli anni successivi questa lettera. Con alcune integrazioni e modifiche, e mantenendo il suo taglio divulgativo e quasi colloquiale, fu pubblicata dalla Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti prima nel suo notiziario (Gigi Ghirotti Notizie, 16 (2) 2000) e poi nel volume Il sollievo. La cura del dolore in tutte le sue dimensioni (a cura del Centro di Ascolto Ghirotti, Franco Angeli Editore, Milano, 2003).

La lettera viene qui riproposta con alcune modifiche e innesti di attualità legati alla emergenza covid-19 che non ne alterano sostanzialmente la sua struttura di base. Questa lettera è stata anche usata clinicamente nella relazione di aiuto con persone in condizione di lutto. L’autore ha constatato, avendone pure conferma da altri suoi colleghi psicologi della Fondazione Ghirotti, che molte persone che l’hanno letta, successivamente, nel colloquio con lo psicologo, hanno riferito di sperimentare un senso di sollievo dal cordoglio. Probabilmente questo effetto è dovuto al fatto che i contenuti della lettera educano e guidano la persona ad accogliere le proprie emozioni, rassicurano sul caos interiore e trasmettono il senso stesso del vissuto di cordoglio. Chi legge questa lettera prova spesso sollievo nel sapere che il suo grande dolore attuale ha un senso e che un giorno potrà attenuarsi. Inoltre la persona in lutto apprende con sollievo che c’è qualcosa che accomuna il suo dolore a quello di altre persone che hanno subito una simile perdita significativa.

L’argomento di cui voglio parlarti è forse l’unica occasione che tutti noi abbiamo di “conoscere” la morte in questa vita. La perdita di una persona cara, di un amico, di qualcuno o qualcosa per noi affettivamente significativi suscita un vissuto particolare, un misto di emozioni e di sentimenti che chiamiamo “cordoglio” e che si svolgono in un periodo di tempo e in uno status socialmente riconosciuto come “lutto”. Sicuramente nella tua vita hai già provato più volte il dolore della perdita, il cordoglio, anche se in forma lieve per la non vitale importanza della perdita (es. hai smarrito un oggetto per te affettivamente significativo; hai subito un furto; hai perso un’occasione, ecc.). Magari dopo una prima reazione emotiva di tristezza il dispiacere si è andato affievolendo e poi quasi non ci hai pensato più alla perdita. Ci sono però perdite percepite come più importanti, dure, difficili da digerire, come ad esempio la fine di una relazione di amore o della morte di una persona cara, accompagnate, e a volte precedute se prevedibili o attese, da reazioni emotive più intense e anche nuove rispetto a quelle per le perdite meno importanti. Hai forse avuto la sensazione che qualcosa si fosse rotto in te, hai avvertito un vuoto dentro e attorno a te, hai ricercato l’isolamento per meditare sulla perdita, ma poi hai scoperto l’importanza di condividere con altri la tua sofferenza, altri per te significativi o dai quali ti sentivi ascoltato. Hai provato tristezza, hai pianto, i tuoi bisogni si sono in un primo momento “congelati” (non volevi mangiare o dormire) poi si sono “sregolati”: avevi sempre sonno, hai fatto delle ricche abbuffate, magari di crema di nocciola con cioccolato, e forse hai buttato giù qualche bicchierino di troppo insieme a tante sigarette, magari riprendendo a fumare dopo tanti anni. O forse sei scivolato compulsivamente o con superficialità in relazioni affettive oppure ti sei stordito col sesso, con la musica, con il lavoro. Ogni cambiamento è sofferenza, il lutto impone un cambiamento violento e indesiderato. Quando la perdita è grave la prima reazione è quella dello shock, dello smarrimento, ti dici “no, non può essere vero, non posso crederci, non voglio crederci”; e già, non “puoi” crederci perché la tua mente rifiuta una rottura improvvisa dello status quo affettivo; non “vuoi” crederci perché “volere” è il primo passo che compiamo ogni volta che ci apprestiamo ad abbandonare uno stato di quiete vitale in cui non riusciamo più a soddisfare i nostri bisogni. Di fronte alla perdita, “voglio crederci” è inaccettabile perché significa riconoscere la perdita, accettare il cambiamento duramente imposto dagli eventi e accettare il dramma esistenziale in cui si è scaraventati

con la forza di un’onda gigantesca, mostruosa, severa. Una volta una persona mi descrisse il suo vissuto di cordoglio con l’immagine dell’onda anomala, lo “tsunami”, che si abbatte con forza devastante e inarrestabile sulla costa travolgendo ogni cosa. Ciò che provi in quel primo momento è simile a quello che sente una persona che riceve una diagnosi infausta o una brutta notizia: non può e non vuole crederci, oppure si arrabbia contro il destino o Dio chiedendo perché proprio a lui o a lei. La mente è confusa, cerchi di aggrapparti ai ricordi, alla “normalità” perduta. Vorresti portare indietro le lancette dell’orologio, tornare a un giorno prima, a dieci anni prima. E allo stesso tempo è forte il desiderio che passi rapidamente il tempo per superare la pesantezza dei giorni del dolore, «il tempo guarirà le ferite», si dice, ma il tempo, il tuo tempo, ora sembra fermo, sembra appesantito, ti trattiene nel dolore. Iniziano ad ossessionarti i dubbi dei “se” e a sbocciare i primi sensi di colpa che vedremo più avanti in piena fioritura: “se solo avessi impedito quel giorno a papà di prendere il bus affollato, forse non si sarebbe ammalato di covid”, “dovevo insistere con mamma a farle fare una visita cardiologica quando aveva il fiatone dopo aver salito i primi dieci scalini”. Comunque sia ti prepari a reagire, a lottare: la perdita è una minaccia alla sicurezza, e la forza vitale – “nascostasi” dopo la perdita – tende a riaffiorare. Per quanto piccola, la perdita è sempre un pericolo e noi siamo naturalmente attrezzati per reagire alle minacce, mobilitiamo risorse e difese. La reazione deve però avvenire da subito, dobbiamo imboccare presto la via del cambiamento (è questa la meta alla quale vuol condurci naturalmente il cordoglio). Dobbiamo fuggire via dalle sirene che cercano di incantarci come fecero con Ulisse, facendoci naufragare sul lido della disperazione, facendoci inseguire un’ombra, bloccandoci nelle melmose acque dell’assurdo e dell’insensato. Dunque, lo shock, per quanto drammatico ed emotivamente doloroso è solo la prima reazione, come il dolore acuto quando sbatti il gomito, come un lampo accecante, ma il tuono sta per arrivare. Il tuono rappresenta metaforicamente le emozioni del momento e i sentimenti più duraturi: la tristezza, la rabbia, i sensi di colpa, la nostalgia, la scoperta del peso dell’assenza, il dolore per la ferita che sanguina, lo sconvolgimento di progetti legati alla persona perduta, la solitudine, i cambiamenti che si susseguono, l’assedio di problemi economici e burocratici, ecc. Allora ti sembra di impazzire, di perdere il senno, vuoi morire pure tu, ti senti pesantemente assediato da tanti “mai più”, “fu”, “non c’è più”, “nulla sarà più come allora”, “non potrò più

ascoltare la sua voce, toccare la sua pelle, sentire il suo odore”, “non potrò più fargli una domanda e ricevere le sue risposte”, “non potrò più fare colazione con lui o lei e commentare le notizie del telegiornale”. La negazione e l’assenza dilagano, sperimenti tutto il peso della irreversibilità. La morte è un’irruzione violenta, impudica, acefala, di negatività, di assenza assoluta e purissima. È vero, abbiamo bisogno di assenza, di vuoti, di “vacanze”, ma bilanciati dalla presenza, dal senso dell’esserci; così abbiamo bisogno di “diluire” con la presenza la dose troppo pura e densa di assenza. Le emozioni che accompagnano la perdita non sono casuali, esse segnalano il bisogno della “presenza”: un contatto più intenso con te stesso, poi con le persone a te più care e infine con altri a cui confidare alcuni sentimenti o pensieri che per vari motivi non vuoi o non puoi condividere con le persone care. Dopo lo shock ti aggrappi al passato, pensi a parole di affetto o di riconciliazione che avresti voluto rivolgere alla persona che non c’è più, e allora la cerchi nei ricordi, nella sua stanza, tra le coperte non più calde come prima, tra le foto, nei tuoi sogni. Già, i sogni, ad essi non si sfugge, sono i messaggeri dello svolgersi del lutto, cioè uno sforzo che la mente fa per riportarsi in quota, una nuova quota, quella dell’accettazione, di un nuovo modo di essere. Col tempo nei sogni non comparirà più la persona morta come minacciante, o che ti appare viva, illudendoti al risveglio. Alla fine del lutto i sogni in cui compare la persona defunta sono più rari o comunque ti sembrano più sereni e carichi di significati “esistenzialmente nutrienti”. In altre culture questa fase rappresenta il passaggio del morto da spirito potenzialmente minaccioso da rabbonire ad antenato benefico. Ecco perché esistono ancora molti riti che accompagnano tutto il processo del lutto dall’inizio alla fine. Se conosci persone che vivono o hanno vissuto in piccoli centri urbani a dimensione comunitaria, chiedi quali rituali mettono in atto, scoprirai che un elemento comune a tutti i riti è la condivisione, la partecipazione. La cena rituale dopo il funerale è forse l’immagine più bella di noi uomini che reagiamo tutti insieme ad una perdita che, nei piccoli centri abitati, è una perdita subita anche dall’intera comunità. L’assenza di questa ritualità e socializzazione del lutto può prolungarlo o addirittura il meccanismo della sua elaborazione resta sospeso, come purtroppo è accaduto per moltissime famiglie durante la pandemia da covid-19 a causa delle restrizioni dei contatti e il distanziamento fisico tra persone per contrastare la diffusione del coronavirus.
A volte si inizia a pensare alla perdita o alla morte della persona cara prima che questa avvenga, non c’è ancora cordoglio, ma in qualche modo la nostra mente e il nostro essere si prepara alla perdita. Il significato di questa reazione nasce dalla percezione di una minaccia allo status quo dell’individuo, alla quotidianità, o alla coesione della famiglia. Chissà quante volte nella tua vita hai cercato di anticipare mentalmente un evento per prepararti ad affrontarlo! Si anticipano le mosse degli avversari al gioco, dei nemici in battaglia, dei rivali in amore, del pedone che sta per attraversare mentre noi transitiamo in auto o del tempo atmosferico che farà. Anticipiamo non solo a livello mentale, razionale o “strategico”, ma anche emotivo. Sai, l’emozione, se intensa, può bloccarci, di qui la “sana” reazione di negazione durante lo shock che ci permette di organizzarci senza bloccarci, senza essere schiacciati dall’angoscia e dal caos emotivo. L’anticipazione dell’evento è spesse volte una simulazione mentale che tutti abbiamo sperimentato nella vita prima di un evento importante: la prima uscita con la persona di cui siamo innamorati, il nostro matrimonio, gli esami, il primo discorso di fronte a una platea numerosa e interessata a noi. Poi ci sono esperienze ancora più forti, ad esempio prepararsi ad un difficile intervento chirurgico, le cui emozioni iniziamo a “pagarle” in anticipo (come accade per gli anticipi di certi versamenti di denaro in modo che il saldo sia poi più lieve). Quindi non stupirti se noterai in te reazioni di ansia, tristezza, autoaccusa, sfinimento, rabbia già prima della morte della persona cara. La tensione può essere tanto pressante da esigere una scarica, spesso questa avviene attraverso il pianto, ma non di rado puoi scoppiare in una sonora risata per questioni futili. C’è qualcosa di psicologicamente vero nel detto: “Non c’è funerale senza ridere, né nozze senza piangere”. Lo humor è una risorsa importante, una difesa, per attutire il duro colpo della realtà della perdita. Il lavoro (detto anche “elaborazione”) del lutto, o meglio del cordoglio, procedendo a volte con tre passi avanti e due dietro e poi di nuovo tre avanti e due dietro, e così via, ti condurrà a quel cambiamento al quale accennavo prima, purché non intervengano ostacoli che impediscano la socializzazione- ritualizzazione del cordoglio, la manifestazione delle emozioni spiacevoli imbottendoti di psicofarmaci o di alcolici, il contatto con la realtà, facendoti rifugiare in un attivismo fine a se stesso. Il cambiamento ti porterà ad un nuovo status, a una nuova configurazione dell’essere: nel tuo universo brillerà una nuova costellazione, la ferita si sarà rimarginata pur lasciando una cicatrice evidente; la nostalgia sarà lieve come la brezza e il ricordo una calda carezza; stabilirai nuove relazioni; la famiglia si sarà riorganizzata distribuendo ad altri componenti le funzioni svolte dal defunto. Un rimpianto lieve come una brezza prenderà il posto del tempestoso rimorso e del senso di colpa. La “compressione vitale” esploderà in nuove realizzazioni creative o procreative come una gravidanza. Tornerai a vedere brillare il sole. Non voglio darti delle “pillole” su cosa fare quando si è in lutto o per aiutare persone in lutto. Molti libri ne sono pieni e puoi attingervi a piene mani: abbiamo bisogno di regolette per poi però fare quello che la nostra coscienza e il buon senso ci indicano. Quello che posso darti è invece una possibile direzione da seguire, segui il mio dito, ma poi staccati da esso e osserva ciò che voglio indicarti: le tue esperienze di perdita (a qualsiasi livello) a cui hai reagito positivamente. Ti indico tutti i tunnel della tua vita che hai imboccato e superato, tutte le volte che sei caduto e ti sei rialzato, tutte le volte che le tue lacrime hanno cessato di rigarti il viso e il fazzoletto portato agli occhi è rimasto di volta in volta sempre più asciutto, tutte le volte che hai smesso di ripiegarti su te stesso perché ti sei accorto che una persona cara aveva un grande bisogno di te. Ricorda come hai reagito, chiediti cosa volevi in quei momenti, o cosa non volevi, quali sono state le scelte più importanti e lenitive fatte da te o da altri per te. Se sei qui e mi stai leggendo, tu ce l’hai già fatta tante volte a superare perdite piccole e grandi. Ricorda cosa ti faceva bene, quali parole o gesti hai gradito, quali hai rifiutato, quanto è durata la sofferenza e quali conseguenze essa ha avuto. Quando puoi, parlane con chi ti ispira fiducia e ti accoglie con calore, condividi le esperienze e fanne tesoro, scoprirai che il lutto non è un nemico da combattere, ma un alleato, non lo squarcio della ferita, ma la crosticina che cadrà quando la ferita si sarà rimarginata. Scopri in te il nettare da trasformare in miele per addolcire la tua sofferenza e quella di chi incontrerai sulla tua via per impegno civile, umano e per amore.